La 200 in equipaggio, Caorle 2006 |

Un Amico ha fatto la sua prima regata lunga, gli ho chiesto di raccontarmela, ecco il risultato…

La mia prima 200

di C.B.
Mi è stata offerta l’occasione di fare la “200 in equipaggio” ancora 4 mesi fa, ho detto subito di si: l’idea di fare una lunga, su un gran bel barcone da regata di 52 piedi, mi è sembrata subito un’occasione per fare esperienza, per vedere come è gestito un equipaggio di 14 persone, per imparare cose nuove insomma.

Venerdì 26.05.2006 ore 11,00 partenza. Cinque minuti al via, il vento cala di brutto fino a 3-4 nodi La barca è pesante e deve partire lanciata, ce la facciamo e dopo meno di mezzo miglio, siamo proprio da soli in testa. Va detto che non ci sono avversari diretti, ma la barca in compensato paga tantissimo e non ha molte speranze: si corre in libera.

Il vento arriva con una timida termica tra i 4 e 7 nodi che, complice una bellissima randa nuova in carbonio super-extra-tecnologica e un frullone leggero “immenso” ci permette di viaggiare spesso più veloci del vento reale.

Siamo in due alle drizze e, non avendo mai ricoperto questo ruolo, dipendo dalla mia “collega”. Si, a bordo ci sono 4 donne, ormai la superstizione è cosa di ieri, ci sono sempre più donne sulle barche in regata e devo dire che sono più determinate, precise e motivate degli uomini, anche se certi ruoli troppo “fisici” sono ancora out per loro.

Sono abbastanza rilassato e sereno, è la mia prima lunga ma la barca, l’equipaggio e il meteo sono decisamente rassicuranti. Siamo in tre a salire per la prima volta su questa barca e si vede abbastanza. Tutti sanno bene cosa fare e come, nel loro ruolo, noi nuovi dobbiamo metterci al passo in fretta e questo mi tiene piuttosto impegnato fino a sera. Il vento infatti è “ballerino” sia come intensità che direzione e i cambi di vela sono numerosi e rapidi. Si passa dal genoa 1 al 2, dal frullone leggero a quello pesante e passata la boa foranea di Grado anche al Gennaker armato su un bonpresso estraibile che sembra un vero e proprio cannone!

La flotta resta decisamente staccata e tutto sembra andare per il meglio. Si decidono i turni. Io andrò a dormire alle 10 e darò il cambio alle 2 di notte. Non dormo molto, anche se sono stanco.In coperta le manovre dell’equipaggio, i rumori dei winches e del vento sono decisamente un ostacolo difficile da superare. Sento il silenzio e la concentrazione dei momenti di “calma” interrotti dai rinforzini, mai sopra i 5/6 nodi comunque.

Con metà equipaggio che riposa, la barca sbanda anche con poco vento e questo mi costringe a trovare una posizione decisamente scomoda per non rotolare addosso al mio compagno di cuccetta. Anche prima delle 2 decido di risalire e qui comincia la sofferenza.

E’ stata scelta una rotta intermedia, nè troppo fuori, nè troppo sottocosta. Una piatta mortale !!! Il vento dalle 2 alle 6 di mattina non supera mai i 3 nodi ma sono convinto che di media erano 1,5. Nella notte senza luna, con un’umidità al 1000% , senza un filo di vento, “lottiamo” per tener su le vele fino all’alba. Ci aiutano le torcie che puntate sui filetti ci danno qualche riferimento. Vietato muoversi ! I pesi in queste condizioni sono fondamentali. Sbagliare significa fermare la barca e la voglia di mollare sale alle stelle. Qui si impara cosa vuol dire sfidare il mare e il vento, quasi quanto succede con 30 nodi. Sono due tipi di lotta diversi, ma vi assicuro che in certi momenti non saprei scegliere. Sei immobile e rannicchiato su 50 cm quadrati da un’ora e arriva l’ordine di cambiare vela: si devono muovere “solo” quelli indispensabili e farlo al momento giusto, ne prima ne soprattutto dopo, da queste semplici regole dipende la riuscita o no di una manovra. Ovviamente letto quì sembra cosa da nulla ma vi assicuro… non lo è.

Non ci si vede in faccia, si fatica a vedere il prodiere che drizza ha in mano e dove sta andando, non si può usare troppo la pila per non accecare i compagni, la coperta è veramente molto bagnata e scivolosa, non bisogna coprire gli strumenti col proprio corpo, tutto deve essere messo assolutamente in ordine, pena non trovarlo quando ti serve.

Alla prima luce dell’alba, arriva la mazzata: spuntano , una alla volta, almeno 4-5 barche davanti a noi, nella foschia del mattino svettano le vele nere, davanti di 2 o 3 miglia almeno. Ma come cazzo avranno fattoooooooo??? E’ la domanda che ci lascia basiti. La risposta, semplicissima, arriverà a fine regata. Siamo incappati in una zona di calma fra due dove c’èra un po’ di aria, sottocosta e al largo! a riprova del detto: La fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. Ci buttiamo all’inseguimento degli avversari davanti a noi che quasi raggiungiamo al controllo orario di Sansego: siamo sesti. Sono le 10,59 e rotti.

Le cinque barche davanti a noi sembrano “raggiungibili” e l’ottimismo tra l’equipaggio aumenta col passare del tempo. Una lunga, come ho imparato, non è una regata dove ti rendi conto della tua posizione come nelle regate tra le boe, questo perchè le rotte per arrivare a destinazione sono molte e gli avversari scompaiono presto dal campo visivo.

Superato Sansego, tappa obbligata per il controllo orario, le rotte si “allargano” ognuno sceglie in base ai propri dati, alla propria esperienza e alla propria barca. Il nostro tattico, sceglie una rotta che dopo poco, ci porterà a superare tre barche: a questo punto è logico pensare di essere in terza posizione.

Troviamo il vento, non troppo, ma sufficiente a far andare la barca ad una buona velocità: con 8 nodi, arriviamo a toccare i 10 di velocità sotto gennaker con un angolo tra i 140� e 160�. Nel pomeriggio, mi decido ad andare a riposare, ma, sono troppo “gasato” per riuscirci: non riesco a non pensare che se il vento continua così, potremmo arrivare per la sera di sabato: il che significherebbe un grande risultato.

Forse qualche folletto cattivo mi ha sentito, forse ancora una volta la sfiga ci mette del suo, sta di fatto che alle 18 circa, superato Rovigno, il vento impazzisce di colpo, gira di 180 gradi e poi ci pianta là in bonaccia assoluta.

Mancano 40 miglia all’arrivo, abbiamo quasi la certezza di non avere nessuno davanti, ma non un refolo di “cazzo di vento” che ci faccia muovere: è come mostrare una torta al cioccolato ad un bimbo e subito dopo impedirgli anche solo di assaggiarla: una cattiveria incredibile.

Dopo un paio d’ore ho capito che mi aspetta un’altra nottata come la precedente. Stavolta sono più sciolto nelle manovre, più in sintonia con l’equipaggio e le manovre anche se improvvise, non mi trovano mai impreparato . Adesso la sfida è con me stesso: voglio vedere se “tengo”, se riesco insomma a non spazientirmi o sconcentrarmi anche nel limbo in cui siamo impantanati.

Vado a dormire presto e stavolta un paio d’ore secche secche me le faccio di gusto.

All’una dò il cambio e mi preparo per la battaglia. E’ più dura di quanto pensassi, mi fanno male le ginocchia per le posizioni accovacciate, oltre a qualche bottarella quà e là che è quasi impossibile evitare. La barca scivola nella notte buia a velocità che vanno da 0,5 a 2 nodi, dobbiamo ridurre il frullone per farlo stare su. Ogni tanto qualche refolo a 3-4 nodi ci fa sognare…

ma subito dopo la realtà: il log non si muove più 0,00 ormai rileviamo la velocità col Gps 1,5… 1,2… 1,0 ma potrebbe essere anche la corrente che ci porta alla deriva… puntiamo le torcie in acqua per cercare di capire se ci muoviamo, sulle vele per vedere se si gonfiano: la randa sta su da sola, steccata com’è, ma il frullone leggero, cazzato e mezzo avvolto fa proprio pena.

All’alba del secondo giorno, che si preannuncia soleggiato, una brezza leggera ci fa ripartire con un senso di sollievo veramente impagabile. La brezza aumenta lentamente, la barca accelera, si crea l’apparente per tornare a volare verso casa, ormai si vede la terra, coperta da una fascia di foschia che fa sembrare sospesi tra mare e cielo i palazzoni di Porto S.Margherita.

Un po’ per la luce e un po’ per il rumore dell’acqua sulla carena, l’equipaggio torna in coperta: dove siamo ? quanto manca? com’è andata sta notte?… Manca poco… tutto bene…

Chiamiamo il comitato per preavvisare del nostro arrivo. Il gommone ci raggiunge prima della boa di arrivo, ci fanno i complimenti e ci dicono che ci sono stati dei ritiri, che siamo primi e che il resto della flotta è piuttosto lontano. Beh, ciò che si prova in questo momento non riesco e non posso descriverlo, è una sensazione troppo “intima” per poterla trasmettere con delle parole posso solo dire che è una di quelle cose che nella vita ti restano dentro per sempre.

Provate per credere!

E’ finita, si ormeggia, un capuccino caldo, l’abbraccio coi compagni di viaggio, raccogliere tutte le proprie cose e ficcarle nella sacca, pensare già alla doccia calda sono tutte “umane” sensazioni che non coprono quel pizzico di amaro per la “fine della storia”. Una bella barca sta uscendo, sembra pronta a un bel viaggio, la guardo e dentro penso: se mi chiedessero di salire… partirei subito.

C.B.

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